L’empatia si impara … se qualcuno te la insegna. Perché oggi alcuni adolescenti uccidono senza rimorso?
Mio padre era empatico. Esageratamente empatico. Riusciva entrare nelle storie della gente, immedesimandosi. Per questo molti lo amavano: ricavavano beneficio delle conversazioni con lui in quanto egli riusciva a cogliere gli aspetti della questione come fossero personali.
Ricordo che, spesso, quando eravamo piccoli, ci raccontava dei suoi fratelli in Russia, dispersi durante la seconda guerra mondiale, e la sua narrazione era intervallata da “riuscite a immaginare che cosa voleva dire attraversare la steppa, non vedere all’orizzonte nulla, il freddo che ti entra nelle scarpe dalle fessure dei chiodi perché le scarpe erano chiodate…”
Noi bambini immaginavamo, vedevamo la steppa, sentivamo il freddo nei piedi, camminavamo i passi degli zii, cercavamo una casa all’orizzonte per chiedere aiuto e poterci fermare vicino al fuoco. Non sono mai stata in Siberia né credo ci andrò, eppure è come se ci fossi stata tante volte. Mio padre ci faceva entrare nella pelle dei protagonisti dei suoi racconti. “Immaginate? Ci riuscite? Ma ci pensate… se foste loro, se toccasse a voi…? ”
Ho imparato così l’empatia, l’ho imparata così forte da sentirmi a volte travolta dal dolore altrui, da dovermici distanziare. Per questo ancora adesso non riesco ad indugiare su certe immagini, non riesco a visitare un campo di sterminio, perché è come se riuscissi a sentire le cose vissute dagli altri sulla mia pelle, anche a distanza.
Mi rendo conto, insegnando, che invito i miei allievi a fermarsi a riflettere sui sentimenti altrui, esattamente come mi hanno insegnato a fare.
Pongo loro le stesse domande a cui sono stata abituata da piccola: “Se fossi tu al suo posto? Riesci a immaginare? Che cosa proveresti? Di che cosa avresti bisogno? Che cosa ti farebbe piacere?”
Spesso i bimbi mi guardano attoniti, la maggior parte non è abituata. Ma il bello di insegnare ai bambini è che imparano tutto, anche l’empatia. Sono come spugne, osservano e assorbono sguardi, modi, posture, atteggiamenti.
Possono imparare che prima delle competenze linguistiche e matematiche, bisogna riuscire a stare bene nel gruppo-classe e se qualcuno ha qualcosa che non va, è più utile fermarsi e dargli una mano piuttosto di far finta di niente e sentire poi nell’aria quel suo malessere che si allarga a dismisura fino a disturbare tutti.
Quella capacità di cogliere l’altro e il suo “sentire”, vedendo le cose dal suo punto di vista, è alla base della nonviolenza. È l’empatia. Essa s’impara, io ne ho le prove.
Ma qualcuno deve insegnartela.
A Barbiana era il motto della scuola: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia”
Mi piace molto questo concetto di don Milani per il quale empatia = politica. Solo chi è capace di avere un atteggiamento empatico può essere in grado di fare politica.
Proprio oggi che la politica ha perso completamente il suo valore e il suo significato e l’arrivismo e la corruzione si sono seduti a governare, chi inizierà a dissodare il terreno incolto, educando le nuove generazioni all’empatia?
Chi ne è capace, per favore si alzi in piedi!
Mi chiedo quanti adulti lo siano, e quanti insegnanti… e quanti genitori…
Come faremo ad insegnarla se non l’abbiamo imparata noi?
Ecco il punto. Possiamo continuare a inorridire per l’adolescente che uccide i genitori, o ne orchestra l’omicidio, ma non serve: dobbiamo riuscire a superare lo smarrimento per capire come migliorare il mondo, trovando i modi per educare gli adolescenti di domani a divenire capaci di cogliere la vita da punti di vista diversi, provando a mettersi nella pelle degli altri.
Riusciamo ad immaginare? Un’educazione attenta all’empatia, per tutti i bambini?
Dobbiamo allenarci come adulti, trovare le strade per insegnare ai nostri cuccioli la poliedricità della realtà, iniziando da piccoli esercizi.
Il giorno dopo la notizia dell’omicidio da parte dei due adolescenti, ho fatto in classe un esercizio d’empatia. É solo un esempio, un piccolo inizio da provare a fare a scuola …o anche a casa.
I bambini, lo sappiamo, sono autocentrati; amano la mamma, ma soprattutto da lei pretendono l’impossibile. Allora piano piano educhiamoli a esercitare l’empatia verso di lei: ogni bimbo deve immaginare di essere… una mamma.
Prima col mimo, giocando, poi disegnando, raccontando o scrivendo, ognuno fa l’elenco di tutte le azioni che la mamma compie da quando si sveglia a quando va dormire. Poi confrontiamo gli elenchi, li osserviamo insieme: quasi tutti sono lunghissimi! Quante cose riesce a fare una mamma! Chiediamo ai bimbi: “Riesci ad immaginare di essere una mamma? Come ti senti? Quali cose senti faticose? Quali non avresti tanta voglia di fare?“.
Aiutiamoli a cogliere la gratuità nascosta nei piccoli gesti quotidiani, insistiamo un po’ fino a cogliere piano piano negli loro occhi la gratitudine, quell’impellente necessità di tornare a casa dalla mamma per dirle “GRAZIE“.
Grazia Liprandi – Rete Insegnareducando