Il gioco del potere nella relazione alunno insegnante.
È piccola, carina e bionda con due occhioni azzurri grandi come il mare. Entra senza guardarti, con quella smorfietta sulle labbra di chi sta decidendo quale sarà la prima mossa nel gioco del potere.
La chiamo e la faccio avvicinare. Si struscia e in un attimo riesce a salire in braccio diventando un agnellino. Primo goal: 1 a 0 per lei. Sono cosciente, eppure non la faccio scendere subito. Se perdo quel contatto non riuscirò a far nulla con lei per tutta la giornata.
Gli altri bimbi mi guardano un po’ delusi “perché lei si e noi no?”. Non lo dicono, ma lo si legge dagli occhi. Lascio che mi attornino anche loro, intanto lodo a gran voce chi è già seduto con un libro aperto. Pian piano tutti si sistemano e lei, Sara, si incammina verso il banco, ma non si ferma. Gira, scruta, ha perso qualcosa, qualcuno che le ha preso un foglio oppure una matita, una pinzetta, un accidenti … la guardo severa ed ecco sorgere un improvviso mal di pancia, deve per forza andare in bagno: si piega in due e piange disperata, “lacrime a comando” come dico io. Decido di farla accompagnare da un operatore o la seguo con lo sguardo; due passi da moribonda, poi pensando di non essere vista, si mette a trotterellare e fischiettare, allora la richiamo indietro; rientra scocciata e inizia a inveire gridando contro qualche fantomatico compagno che l’avrebbe presa in giro. Si scatenano le proteste “non è vero, se l’è inventato!”. La guardo di brutto: “Ora basta!”. Per un attimo si acquieta e si mette a scrivere, …canticchiando.
Oggi non è una giornata particolare. No. È sempre più o meno così.
Ha solo sette anni, eppure Sara viene a scuola ogni mattina con un obiettivo preciso, non molto diverso da quello di un grande manager che deve averla vinta a tutti i costi sulle aziende concorrenti. Sara è una bimba-esempio, in classe più d’uno si propongono con questa modalità. C’è chi chiama questi bimbi “Indaco” e sostiene che essi vengano al mondo con l’obiettivo di destrutturare un sistema cogliendone le falle e obbligando gli adulti a ristrutturarsi in altro modo.
Interessante, ma… non è possibile condurre una lezione tradizionale con Sara e i suoi simili: in pochi minuti la proposta didattica è stata messa sotto sopra.
Ho due strade per affrontarla. Tento: “Sara, ora mi ascolti. Qui comando io e tu obbedisci!” le parlo severa, ma non molla. Glielo ripeto ancora poi grido paonazza con le corde vocali che fanno male e le vene che gonfiano il collo. Lei tace, finalmente, mi guarda atterrita e si ferma per un po’. La sfuriata raggela la classe, anche gli altri si impietriscono. Diciamo che almeno torno in pareggio, ma dura poco. I bimbi hanno il dono di dimenticare in fretta e Sara ricomincia.
Posso riprendere a gridare? Sono solo le solo le 9 del mattino e io sono già spossata. L’arrabbiatura m’ha lasciato l’amaro in bocca. Dovrà pur esserci un’altra strada! Non mi piace affatto questa partita in cui mi ritrovo. Sto giocando con Sara a veder chi vince nel comandare?!? Lei è una bambina, io sono un’insegnante, un’educatrice. Non posso accettare questa stupita disputa che lei innesca con me!
Potrei semplicemente sbatterla fuori, dall’aula e dal cuore, allontanarla, dimenticarla, magari punirla a fine anno. Potrei chiudere e dimostrarle così la mia supremazia di adulto. Ma so che non ne sarei contenta.
Sara è una sfida per me. Una di quegli allievi che ti obbligano a reinventarti. Mi fa pensare a quante lotte per il potere instauriamo nella nostra vita e a quante vite nella storia abbiamo sacrificato per raggiungerlo. Noi contro gli altri, io contro te, la fratellanza dimenticata, la società mai compresa. L’umanità da sempre si schiera, destra contro sinistra, chi vince e chi perde. Essere furbi vuol dire vincere sempre, non cedere mai, calpestare gli altri, trovare escamotage per passare sopra a tutti, in coda al supermercato come in un dibattito in tv.
La piccola Sara che mi rende la vita così difficile è l’emblema quello che siamo tutti noi, adulti del terzo millennio, ostinati nel dualismo, attenti a separare tutto da noi e noi da tutto.
A scuola, questa bimba di 7 anni mette in scena gli stessi giochi di un mondo che non mi piace.
E io che faccio? E noi adulti che cosa rispondiamo?
La osservo: prepotente, litigiosa con gli altri, superba, un despota in fasce; chissà da grande come si rapporterà al mondo… diventerà una di quelle persone che non vuoi incontrare né sul lavoro né tra gli amici…
Ma ora ha solo sette anni! Ci sarà pure un modo per farla uscire da quella brutta maschera che indossa!
So bene che dentro ogni bimbo è nascosta una saggezza antica che aspetta d’essere contattata. Quella bontà, quella capacità di bene e di collaborazione che emerge dall’uomo come solidarietà nelle tragedie e nei cataclismi. Dove sei Sara? Riusciremo noi insegnanti a scuola a far emergere la parte migliore di te seppellita sotto la tua antipatia? Sarò capace di trovare un modo che ti aiuti a posare i panni della prepotenza per incontrare gli altri?
I tuoi genitori hanno già rinunciato e vengono a scuola per sostenere le sue dispute contro tutti.
Mi piacerebbe tanto farti crescere, bambina! Che gioia se un giorno potessi capire che “Ognuno di noi da solo non vale nulla”, come scriveva il Che.