OCCASIONI DI APPRENDIMENTO MANCATE: TANTI PROGRAMMI E POCO FEED-BACK SULLA VITA.
Mario frequenta la prima liceo da settembre. Sta in classe mogio e silenzioso, soprattutto con i prof non ha proprio nulla da dire. Si impegna, vacilla, studia. Ma i risultati sono bassi, senza eccellenze.
Prima di Natale suo padre si reca al consueto colloquio e si sente comunicare tutte queste osservazioni dalla referente di classe, una prof che vede il ragazzo un’ora a settimana.
Lui ascolta, vorrebbe tacere, ma poi… “Senta professoressa, volevo dirle che se vedete Mario un po’ giù, chiuso, silenzioso e triste…forse è ancora troppo fresco il dolore”.
Lei sgrana gli occhi, non comprende.
Il papà la guarda stupito “Per la mamma…”.
“La mamma… cosa?” riprende la referente.
“Professoressa, la mamma di Mario, mia moglie, è morta a luglio, due mesi prima che iniziasse il liceo. Io ho provveduto a segnalare la cosa alla dirigente da subito”.
“Mi spiace, non sapevo nulla, né io né i miei colleghi siamo stati informati, sa…la privacy”.
La privacy? Ma che …. ! Non fatemi dire parolacce! Per la privacy non comunichiamo agli insegnanti che un allievo vive un dolore grandissimo? Ma quale modello di scuola abbiamo in testa?!?
Mi viene in mente l’incidente che accadde anni fa a una ragazza in quinta superiore. Morì un uomo. La ragazza rimase scioccata, cambiò la sua vita, totalmente; si sentiva in colpa per lo sbandamento della sua auto, nonostante le varie perizie avessero accertato che non andava veloce … Continuò a frequentare la scuola con regolarità, ma il suo cuore era altrove. Quando le chiedevo ” Ma ne avete parlato in classe di quello che ti è successo?” mi rispondeva ” Sì, con qualche amica…”.
“No – incalzavo io – in classe con qualche prof presente. Avete parlato della vita, della morte …? Ti è accaduta una cosa così grande e dolorosa che non si può far finta di niente. Può essere uno spunto eccezionale sia per te sia per tutta la tua classe, per comprendere mille cose, per maturare, per imparare…”.
“Ma no, non c’entra nulla il mio incidente con la scuola”.
È così che i ragazzi la vedono. È così che gliela facciamo percepire.
La Scuola è un luogo “altro”, distaccato dalla vita, lontano dai problemi personali e sociali, asettico, impermeabile, immutabile.
Anche oggi, come allora, non riesco a non incazzarmi.
Come possiamo insegnare senza far entrare LA VITA nel percorso di apprendimento?
Essa offre un trampolino eccezionale alla conoscenza. Se la lasciamo fuori dell’aula, allora non ci è chiaro che cos’è l’apprendere!
È un cammino di riflessione in cui si mettono in discussione le proprie conoscenze alla luce di una nuova esperienza, di un nuovo stimolo, di un’occasione improvvisa che obbliga a fermarsi perché sconvolge il proprio mondo. Lo stimolo può essere letterario, scientifico, geografico e storico, certo, ma non sarà mai così interessante come quello esperienziale, quel “battere il naso”, quel trovarsi nell’incerto, perdere i punti di riferimento, sconvolgere il proprio tran tran. Si apprende moltissimo dalla vita, si apprende ancor più incontrando la morte.
Ma come fa un ragazzo a percorrere un cammino di apprendimento a partire dal dolore se non viene supportato e sostenuto nel percorso? È un cammino difficile, a volte assurdo, dove solo un Maestro può aiutarti a riflettere sull’accaduto.
La Scuola, che dovrebbe essere la sede dell’apprendimento per eccellenza, come può rinunciare a questo suo compito?
Quando diciamo che i ragazzi non conoscono il mondo e vivono nel virtuale, non consideriamo le nostre responsabilità come adulti. Da piccini li trattiamo come dei piccoli sovrani. Per loro prepariamo feste, party, viaggi nei fantastici mondi del divertimento. Quando sono più grandi temiamo le loro reazioni, restiamo in sospeso ad aspettare. Se il loro destino li sbatte come pezzi di legno in una mareggiata, restiamo paralizzati, facciamo finta di niente, non affrontiamo l’argomento perché non abbiamo le parole e ci nascondiamo dietro alcune assurdità: la privacy, la mancanza di tempo, il programma da svolgere… ma quali programmi! Non dovrebbero più esistere. Le nuove indicazioni, che ormai sono già quasi vecchie, parlano d’altro, di individuare alcune competenze, irrinunciabili, da raggiungere con i ragazzi. Tra queste in primis c’è il “saper riflettere sull’esperienza”.
Perché allora l’esperienza stravolgente del dolore della morte non può avere un posto a scuola?
Forse fa male a noi adulti affrontarla. Perché la morte ci scuote. Ci obbliga a ripensare a chi siamo davvero e a come stiamo vivendo. La morte mette a nudo le nostre stupidaggini, illumina ciò che è significativo.
Una scuola capace di aprire le porte al dialogo sulla morte potrebbe trovarsi a riflettere sui modi scontrosi, i tempi frenetici, le rigidità, le assurdità che essa stessa promuove. Potrebbe vedersi costretta a cambiare per essere davvero significativa. Potrebbe sentirsi bocciata e incapace ad accompagnare i ragazzi nell’apprendimento per la vita.
Allora meglio non rischiare. Non parliamone.
E alla fine? La ragazza non ha più concluso la quinta superiore. Chissà se Mario c’è la farà a superare il primo anno di liceo. Forse. Ma solo se un prof tra i tanti saprà aprire la porta della conoscenza fino ad incontrare il suo dolore, quel grido muto che assorbe e ammutolisce tutto il desiderio di sorridere e imparare ancora dalla vita.