Molti insegnanti vivono questo “sentire”. Ma chi sono questi allievi che ci mancano di rispetto?
Siamo all’inizio dell’anno scolastico eppure molti insegnanti sono già KO e chiedono aiuto perché non sanno come districarsi con classi difficilissime, allievi impossibili che non hanno alcun rispetto. Che cosa sta succedendo?
Non siamo nel bronx di qualche malfamata città. Siamo al nord, in zone tranquille. Eppure accadono le stesse cose che abbiamo visto nelle classi di “Chance” quando il progetto dei Maestri di Strada di Napoli era ancora attivo. Con una differenza: qui gli insegnanti non sanno da dove cominciare.
Alcuni ammettono: “Tutto il mio sapere, gli anni spesi all’università e nei Master di specializzazione, sono di poca utilità di fronte a questa banda di ragazzini strafottenti che fanno il loro meglio per rompere le scatole”.
Ecco. Il nodo cruciale che viene a galla: rompere!
Hanno pochi anni questi ragazzini che mettono in scacco gli insegnanti e la scuola riuscendo a dimostrare a tutti la loro abilità distruttrice. Cos’ avranno nella testa?
Solitamente chi rompe ha una visione ROTTA della sua immagine.
Ci sono mille motivi per sentirsi così: drammi familiari, malattie, abusi o molto più semplicemente disequilibri nella relazione affettiva in casa, nel gruppo dei pari e anche a scuola, dove si trascorre il quotidiano e ci si gioca la faccia. Alcuni ragazzini si assumono il compito di fare da cartina di tornasole e far saltare un sistema che ha qualcosa che non va.
Noi insegnanti possiamo fare qualcosa o rinunciamo?
Anzi, diciamolo meglio: la Scuola italiana è in grado di recuperare la sua funzione educativa con questi strafottenti minori?
I ragazzi fanno ciò che hanno imparato a fare. Ma noi, possiamo fargli cambiare idea?
Ecco il punto. Difficilissimo a farsi, ma sì: è possibile!
I “rotti” hanno bisogno di adulti integri, che non hanno paura, che stanno bene con se stessi e che sanno trasformare la provocazione in occasioni di alleanza. Adulti che sanno guardare negli occhi e parlare col cuore, dicendo loro I CARE. MI STAI A CUORE. Il motto di Don Milani ancora una volta ci tocca nel profondo e ci provoca: se non lo facciamo noi, chi lo farà?
L’ideale sarebbe poterlo fare in forma collegiale. Le scuole sono comunità educanti. Dovremmo aver la forza di far saltare orari e classiche lezioni per trovare spazi e sperimentare forme nuove di organizzazione e di metodo per provare a tutti i costi a farcela!
Se questa idea sembra essere troppo utopica, allora proviamoci individualmente.
L’importante è raggiungerli!
Dove?
Nei loro luoghi e dentro le loro armature. Cercare d’incontrarli nello sguardo, trovare il tempo per farsi accompagnare a prendere un caffè, a scuola o anche fuori, in un giardino, su una panchina o perché no, anche nelle loro case: “Non ti ho visto. Voglio sapere come stai ”
Spiazzarli, lanciare loro uno sguardo che vada oltre la corazza del bullo. Fissare il nostro allievo negli occhi e dirgli col cuore: “Guarda che non mi fai paura, io lo so che sei in gamba. E so che nessuno te l’ha mai detto. Mi importa di te e ti vengo a cercare”.
Un vero maestro non vuole sapere se l’impegno sfora le sue dovute competenze: il suo obiettivo è parlare all’anima del più disperato e trovare il modo di conquistarne fiducia.
Cosa spinge tanto impegno?
L’aver compreso che senza scuola non c’è futuro, non c’è prospettiva. Senza apprendimento si può finire in pozzi maleodoranti dai quali è difficile uscirne. Far appassionare un ragazzo alla conoscenza e accompagnarlo nelle sue scoperte è la gioia più grande che possa accaderti, caro collega, il merito più alto che tu possa raggiungere.
Quando vai oltre “il tuo dovere” e ti muovi spinto dalla passione del maestro, la magia accade perché il “maleducato” lo capisce subito. “Se mi vieni a cercare, vuol dire che t’importa di me (I CARE); va bene, sono disposto a seguirti, ovunque”.
Dopo, non c’è ostacolo che tenga: che si tratti di affrontare le ardue strade della Divina Commedia o i labirinti dell’algebra troveremo il modo insieme di camminare nella conoscenza e l’apprendimento sarà comunque piacevole e interessante.
Se non ci proverà la scuola a raggiungere questi “disperati”, saranno altri grandi maestri a farlo, come ha raccontato un boss mafioso della Camorra, agganciato a nove anni dagli uomini d’onore che hanno saputo dargli fiducia e lanciargli quell’amo che la scuola aveva deposto.
Vogliamo essere vinti dalle organizzazioni criminali nella gara dell’educare?
Mancanza di rispetto.
La percezione del rispetto è relativa e dipende da persona a persona soffrirne la mancanza.
Molti insegnanti vivono questo “sentire”.
Ma chi sono questi allievi che ci mancano di rispetto?
Sono ragazzi che affrontano la vita (e la scuola) come fosse una guerra.
Come e cosa insegnare ai giovani guerrieri pronti a “distruggere”?
Dipende da che adulti vogliamo essere.
Possiamo alzare barriere ed entrare in battaglia per ottenere rispetto…
oppure trasformare la battaglia in occasione di crescita educativa e culturale.
Possiamo tenerli con la forza…
oppure impostare lezioni così interessanti e inaspettate che spiazzano gli allievi e che nessuno
di loro vuole perdersi.
Se riusciamo a fargli ritrovare la voglia di imparare, la battaglia sarà vinta…da noi!